Coronavirus: tra angoscia di morte e senso di impotenza.
Come affrontarlo?
Inutile dirlo, ormai ci siamo, dentro fino al collo. Il coronavirus, che sembrava tanto lontano, si é infiltrato ben bene tra di noi. E.. dentro di noi.
Il COVID-19 (questo il nome ufficiale) ha portato alla luce quelle emozioni subdole che appartengono alle profondità di ognuno: l’angoscia di morte, il senso di impotenza e la fobia sociale.
Di fronte ad un evento globale come questo, noi uomini che generalmente ci riteniamo invincibili e padroni della scienza, perdiamo le nostre sicurezze e vacilliamo di fronte ad uno scenario su cui non possiamo avere il controllo. E questo ci destabilizza completamente.
Si perde il senso di stabilità che permette di vivere serenamente e affiora in superficie il senso di caducità, il limite umano che tutti conosciamo ma che ogni giorno lasciamo fuori dalla porta: eh si, anche noi possiamo ammalarci, anche noi possiamo morire. Anzi, di più. Questa é una certezza. Prima o poi moriremo.
Ciò riporta in vita l’angoscia della finitudine umana, pensiero mai contemplato.
E il controllo sull’angoscia di morte crolla, lasciandoci spiazzati: mentre poco tempo fa eravamo fautori di medicina e scienza, e questo pensiero da sempre rassicura esorcizzando le paure più profonde di morte, ci troviamo adesso inermi, di fronte a qualcosa che non conosciamo.
Cadiamo nel senso di impotenza e di abbandono. É come ritornare indietro nel tempo, tornare bambini, quando vivevamo in un mondo più grande di noi, incontrollabile per il nostro piccolo essere, perciò erano i nostri genitori che ci davano sicurezza.
Questa volta, con il coronavirus, la sicurezza non arriva, anzi, siamo di fronte a messaggi contrastanti tra scienziati, virologi, politici. Il quadro non é chiaro, arriva la sensazione di qualcosa tenuto taciuto, non condiviso. Perciò le paure più inconsce, non avendo risposte “genitoriali” rassicuranti, concetti e comandi chiari, dilagano dentro di noi e fuori di noi. Tocchiamo con mano la paura di non farcela, ci sentiamo fragili, abbandonati e impauriti.
Ci chiudiamo in queste ansie e in questi pensieri primordiali, ci chiudiamo al mondo iniziando a praticare una vita asociale. preferiano chiuderci in noi stessi, abitando le nostre angosce, chiuderci in casa, fare scorte enormi di viveri. Diventiamo prigionieri delle nostre limitazioni emotive.
E c’è di più. Se questo scenario angosciante siamo solo noi a viverlo, il contatto con il mondo esterno serve a riequilibrarci, a darci la carica per tornare sui nostri passi e ritrovare la giusta lucidità mentale. Questa volta, invece, come in tutti i casi di emergenze globali, il vissuto degli altri é il nostro. Noi rispecchiamo le nostre angosce sugli altri, gli altri rispecchiano le nostre identiche paure, se non amplificate.
Questo é molto spaventoso perché se non c’è più una differenza tra le nostre paure e quelle degli altri, nessuno sarà in grado di aiutarci.
Diventa tutto molto confuso. Non c’è più un confine certo tra normalità e follia. Si apre lo scenario condiviso della psicosi collettiva. Prende il sopravvento un inconscio collettivo mortifero perché identificato con una madre negativa (lo stato) che non protegge. Non c’è una via di uscita. Intrappolati in un senso stagnante di angoscia e malattia.
Malattia psichica.
Ma la risorsa nell’affrontare al meglio tutto questo sta proprio qui: recuperare la lucidità. Dobbiamo tirare fuori da noi quella parte saggia e osservativa: iniziamo a vagliare le notizie che ci stanno arrivando continuamente da ogni parte. Iniziamo a osservare con intelligenza razionale. Quali informazioni arrivano da fonti valide e credibili e quali notizie vengono scritte solo per audience o alimentare la paura?
Impariamo a tornare adulti e ad uscire da questa regressione infantile, impariamo a fare luce sulle emozioni che hanno preso il sopravvento in noi. Sono emozioni che ci parlano di noi, della nostra esistenza, di paure antiche magari mai affrontate. Analizziamole, diamogli un senso per noi, per la nostra vita.
Facciamoci adulti e diventiamo genitori di noi stessi. Gli adulti “sanno” che niente può essere per sempre. Così un momento di crisi prima o poi passerà, ognuno ha attraversato prima o poi periodi difficili e dolorosi ed ogni volta abbiamo trovato inaspettatamente risorse per attraversarli e superarli.
Ricordiamo un’ultima cosa. Ogni momento di difficoltà apre una nuova porta e permette di entrare in contatto con noi stessi, con le nostre paure più profonde ma anche con le nostre risorse e luci interiori. E questo incontro fecondo significa crescita. Cambiamento. Maturazione.
Impariamo ad apprezzare la Vita, a stare insieme con i nostri figli, con i propri compagni, con i propri genitori. Nessuno ci sarà per sempre. Nemmeno noi.
Ritorniamo a giocare, a ballare, a camminare a piedi nudi, ad assaporare i colori. Impariamo ad infilarci nelle pause dei ritmi frenetici della vita. Un sapore. Uno sguardo. Un sorriso. Fermiamoci.
Approfittiamo per ritrovarCi, ritrovare il senso della vita, la nostra. Come la vogliamo.
Ci ritroveremo più forti emotivamente e fisicamente, pronti per fronteggiare questo coronavirus.
Dr.ssa Denise Bargiacchi