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Covid-19: il virus che cura
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Il Covid-19 é arrivato al momento giusto. Esattamente nel momento in cui doveva arrivare.
Quando le cose erano arrivate a maturazione per cambiare. 
Doveva cambiare il modo in cui vivevamo fino a qualche giorno fa, in cui ognuno si muoveva come un automa trafelato, veloce, senza pause e dove non c’era spazio per l’essere. 
Da questo momento niente sarà più uguale a prima, qualcosa sta cambiando. Ed é per sempre. 
E tutti noi lo sappiamo.
Fino a ieri ci distoglievamo dalla ricerca della nostra originalità per omologarci a modelli di vita standardizzati, anonimi e vuoti, ci muovevamo tutti insieme nelle stesse direzioni, quelle più facili, quelle dell’approvazione sociale, in circuiti che altro non erano che ruote gigantesche. 
Sveglia, lavoro, pranzo, lavoro, spesa, palestra, pulizie, cena... letto. E.... tutto il resto? Quante volte abbiamo parlato di perdita di valori, tradizioni, perdita di rapporti umani veri e profondi, perdita di tempo condiviso con i propri cari, perdita di se stessi. Tutto veloce, tutto superficiale, tutto luccicante ma nessun oro.
Ed ecco che, paradossalmente, il Covid-19 é arrivato per “salvarci” da questa spazzatura. Lo ha fatto in modo brusco ma non ce ne era un altro per farcelo capire. Perché noi esseri umani attiviamo le nostre risorse solo quando viviamo esperienze “forti” altrimenti preferiamo stare a crogiolarsi nella nostra zona di comfort.
Ci ha dato una grande scrollata a tutti, come un padre che scuote il figlio chiedendo “ma cosa stai facendo?”. Lo ha fatto anche attraverso il sintomo principale: il fiato corto, il senso di soffocamento, di non riuscire a respirare a pieni polmoni. Ricordo che mai più come il respiro rappresenta la nostra vita e noi vivevamo in un perenne stato di mancanza d’aria, un respiro dietro l’altro senza ossigenarci, solo un boccheggiare confuso.
Il Virus ci ha prepotentemente tolto tutti gli ingranaggi esterni e ci ha recluso ognuno a casa propria. In pausa.. e le giornate sembrano lunghissime. Ed è arrivato un grande senso di vuoto... e ora?? Che facciamo?? È Arrivata la malinconia, l’ansia e a volte l’angoscia. 
E qui inizia la rivoluzione. Perché la privazione non va intesa come un “togliere qualcosa” ma come “imparare a vivere nel vuoto che essa ha lasciato”.
Raccogliersi in noi stessi, in uno spazio-tempo intimo e segreto, permette di trovare un luogo psichico per l’elaborazione dei propri vissuti e per il confronto con le nostre immagini interne.
Il dialogo interiore diventa fertile e dà vita a quelle componenti creative, presenti in ognuno di noi, mai espresse. 
Avviene la trasformazione da un vuoto sterile ad un vuoto creativo: essere soli non significa essere privi di riferimenti e oggetti sicuri, ma essere partecipi di un universo ordinato, in cui poter dare spazio all’iniziativa personale e all’esplorazione.
La coscienza umana nasce sempre nello spazio di un’assenza, di un vuoto. 
La dimensione della creatività non va letta solo come “produzione del nuovo” ma come una rivoluzionaria capacità di leggere e interpretare il mondo, guardare in modo diverso.
Possiamo liberare l’anima attraverso un’apertura all’imprevisto, il coraggio dell’abbandono della zona di comfort e la piena coscienza della propria diversità. 
Cosa mi piace fare? Quali sono le emozioni che provo? Chi sono? Cosa voglio diventare? Come voglio essere? 
Ognuno di noi può ritrovare la propria “equazione personale” (come diceva Jung), il proprio stile individuale diverso da tutti gli altri, il proprio originale e unico modo di esistere ed essere nel mondo. Un vivere autentico e di sostanza. 
Il potere curativo del raccogliersi i nostri saggi padri già lo conoscevano.. 
Parafrasando Nietzsche:


Lá dove il deserto é più solitario avviene la metamorfosi: qui lo spirito diventa leone, egli vuol come preda la sua libertà di essere signore nel proprio deserto” (Nietzsche 1883-85, 24).

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Invito ognuno di voi a trovare, in questo deserto, il proprio gagliardo leone.

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Dr.ssa Denise Bargiacchi

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